Capraia

Il nome attuale di Capraia deriva invece dal latino Capraria (così la chiama infatti Plinio il Vecchio nella sua opera Naturalis Historia), originato a sua volta dal termine “Karpa”, che voleva dire “roccia”.

Capraia è considerata un piccolo paradiso geologico. Si tratta dell’unica isola vulcanica dell’arcipelago frutto di una doppia eruzione.

Quasi contemporaneamente al primo cataclisma, circa 10 milioni di anni fa, avvenne lo sviluppo di un più piccolo camino vulcanico presso l’odierna Punta della Zenobito

Coste scoscese a picco sul mare, suggestive rocce portate a nudo dall’erosione del vento e del mare, documentano il susseguirsi delle eruzioni e delle stratificazioni laviche. Tutto ciò è ben visibile nella famosa Cala Rossa, sicuramente una delle cale più particolari dell’arcipelago, dove le pareti rocciose a forma di tronco di cono presentano dei colori che variano dal rosso al nero.

La naturale conformazione del territorio, la ricchezza e varietà della vegetazione e delle specie faunistiche, la stessa distanza dalle coste toscane, fanno indubbiamente di Capraia l’isola più “selvaggia” dell’Arcipelago. A terra è tutelata la maggior parte del territorio, suddiviso in diversi livelli di protezione.

Floristicamente l’isola è un vero e proprio laboratorio naturale: delle oltre 650 specie vegetali censite, quasi il 3% è endemico, tra cui alcune specie presenti nell’isolotto della Peraiola (o isola dei gabbiani): la linaria capraria, la borragine nana e la centaurea di Capraia.

 L’area centrale di Capraia è la più montuosa dell’isola e il rilievo maggiore è Monte Castello alto 445 metri slm. Il verde manto di questa zona è costellato da macchia mediterranea arbustiva ricca di erica, corbezzolo, lentisco e mirto con la gariga e alcune piccole estensioni di lecceta.

Notevole la presenza dell’avifauna stanziale e migratrice: tra le specie marine incontriamo i marangoni dal ciuffo, le berte e l’ormai raro gabbiano corso adottato, in volo su un’onda increspata, come simbolo del Parco Nazionale Arcipelago Toscano.

Tra quelle terrestri per i rapaci sono presenti il gheppio, le poiane, il falco pellegrino e di recente il falco pescatore. Tra gli alati più vistosi è anche il corvo imperiale. Grande è il numero dei migratori soprattutto a primavera presso lo Stagnone, luogo di osservazione privilegiato, coperto dalle spettacolari fioriture di ranuncolo d’acqua. 

Ricche sono le acque capraiesi, meta degli appassionati di snorkeling e delle immersioni di diving che si divertono ad osservare le forme di vita marina nascoste nella ricca prateria a posidonia o sulle pareti che sprofondano nel blu con un tripudio di margherite di mare, alghe e spugne. Qui gli anfratti rocciosi celano le tane delle grandi cernie e poco lontano nuotano saraghi, dentici, orate e ricciole. Non mancano i cetacei: nel mare di Capraia, in pieno Santuario dei Cetacei Pelagos, l’area marina protetta più grande d’Europa compresa tra il territorio francese, monegasco e italiano, si possono osservare delfini, capodogli le maestose balenottere e le evoluzioni delle veloci stenelle. Dopo decenni di assenza è stata anche accertata la presenza della foca monaca. Dal 2020, dopo frequenti avvistamenti di un esemplare di Foca monaca (specie protetta e classificata come specie in pericolo di estinzione), nel tratto di mare tra Punta delle Cote a nord e la baia a sud di Punta delle Cote (costa ovest), è vietato l’accesso, la navigazione e la sosta. 

Sono tutelati come zona A gli isolotti: La Peraiola, Le Formiche, Lo Scoglione, lo Scoglio del Gatto, e lo Scoglio della Manza. Nel 2017 è stata introdotta una nuova zonazione a mare che ha modificato le aree in cui sono consentite la pesca sia professionale che sportiva e le modalità di rilascio delle autorizzazioni. 

Luoghi d'Interesse

Sull’isola sono presenti solo due centri abitati: il nucleo del porto e il paese, borgo più antico a ridosso del forte di San Giorgio.

L’isola offre numerosi siti di interesse storico raggiungibili grazie a sentieri e mulattiere: Ex Colonia Penale, Torre del Porto, Chiesa di Santo Stefano, Chiesa dell’Assunta, Chiesa di San Nicola, Chiesa e convento di San Antonio, Forte San Giorgio e numerose spiagge, calette e grotte.

Il Miglio Blu di Capraia è un corridoio riservato alla balneazione in sicurezza, destinato all’attività di nuoto libero in mare aperto, swimtrekking e snorkeling, un percorso in andata e ritorno che consente di nuotare praticamente per un miglio nautico nelle acque smeraldine di Capraia, ed in cui vige il divieto di navigazione, di ancoraggio e di ormeggio.

È stato realizzato mediante la collocazione di ventidue boe (alcune delle quali dotate di segnalazione luminosa notturna) lungo una linea che si sviluppa davanti all’abitato di Capraia, tra la zona estrema a sud del porto, poco prima della Grotta sotto la Torre (accessibile a tutti da terra), e la Torretta al Bagno, anch’essa accessibile da terra, con un tragitto lungo circa 1100 m e largo circa 20-25 m.

Prodotti Tipici

Il miele – L’azienda agricola San Rocco produce differenti tipi di miele, in base alle fioriture stagionali di erica arborea, rosmarino, asfodelo, cardo, cisto, maro ed uno svariato numero di piante della macchia mediterranea dell’isola di Capraia. Il progetto aziendale prevede di affiancare alla produzione di miele anche produzioni di confetture di frutta (in particolare gelatine di uva).

Il miele di Capraia, prodotto dall’azienda agricola biologica “Valle di Portovecchio”,  ha un sapore particolarissimo e talmente buono che da vincere nel 1999 il premio come miglior miele d’Italia millefiori. 

Dai frutti che la macchia offre si ricavano pregiati ed ottimi distillati quali il nocino, il liquore di mirto ( dichiarato prodotto di eccellenza a Slow Food nel 2002 ), il limoncino, le grappe al mirto o al miele, il “rubino”, un distillato di amarene e sangiovese dell’Elba. Inoltre confetture di marmellata di vario tipo, dai fichi alle more.

La birra – Produzione dell’ azienda agricola, “Arura”, la Birra artigianale dell’Isola di Capraia , la “Karpa”, all’elicriso, buona e particolare dal profumo intenso ed avvolgente.  

Il Birrificio Ortigrandi ha convertito parte dei terrazzamenti dei monaci benedettini del XVII secolo a luppoleto e producono ottime birre artigianali con le note della macchia mediterranea: l’Ipa del Fago, Bionda del Fago con sentori di miele, Bitter del Cirre rossa, Belga del Cirre con foglie di mirto. 

Il Vino – Di nuova produzione anche uno splendido vino bianco , Ansonica “Le terrazze degli orti Grandi”.

Alicante IGT costa toscana ( Grenache ), vigneto in conversione ad agricoltura biologica. Di nuova produzione un vino splendido dal carattere mediterraneo , solare di estrema eleganza e finezza, di colore rosso rubino , con un tannino setoso e carnoso che cattura per la sua perfetta armonia . 

Dalla coltura della vite effettuata in località “il Piano” si è ottenuto per la prima volta nel 2004 un ottimo aleatico di Capraia ed  anche un vino rosato da tavola: il “Rosa della Piana”, il Palmazio ( vermentino ) e lo Zenobito, rosso intenso. Disponibili anche la Grappa, “l’Asfodelo” un prosecco frizzante e profumato e marmellate d’uva.

I caprini – L’Azienda agricola “Il Saracello” si occupa dell’allevamento delle capre, finalizzato alla produzione ed il commercio di latte fresco pastorizzato di capra, di formaggi freschi e stagionati, di ricotta, robiola, semistagionati al peperoncino, al mirto e alle spezie di Capraia, budini e altri prodotti derivati dalla lavorazione del latte di capra.

Il pesce – La Cooperativa di acquacoltura “Maricoltura e Ricerca” nasce nel 1998 e si definiscono “coltivatori di mare”. Partiti da un progetto  di sperimentazione regionale all’interno del Parco Nazionale  è l’unica realtà Italiana in questo settore ad allevare Orate e Spigole in acque così incontaminate unici ad allevare, senza antibiotici con un risultato finale unico.

Da non perdere le frittelle e le zuppe di “sammula” o “samula”, specie di aglio selvatico, insieme ai totani ai quali è dedicata la più importante e popolare festa dell’isola, che si celebra ogni anno alla fine di ottobre


Isola del Giglio

Il nome Giglio deriva dal greco aegilion, latinizzato in aegilium, per la presenza di capre sull’isola. 

Che fosse un’isola già abitata nel paleolitico ce lo dimostrano i resti megalitici della Cote Ciombella a Giglio Castello e del Dolmen sul sentiero che dalle Cannelle porta al Castello.

Fu una base militare e di estrazione di ferro durante la dominazione etrusca ed in epoca romana divenne proprietà della famiglia dei Domizi Enobarbi, i quali costruirono una lussuosissima villa patrizia in zona “Castellare” (l’attuale zona del Porto detta del Saraceno o “Ban Saracino” per i gigliesi), nonché un importante scalo commerciale, persino nominata da Giulio Cesare nel “De bello gallico”. Gli Enobarbi erano possessori di schiavi e commerciavano con Roma vino, olio, grano e pesci allevati nella “Cetaria” i cui resti ancora oggi si possono vedere nella caletta del Saraceno.

Nell’805 l’Isola venne poi donata da Carlo Magno come feudo all’Abbazia delle Tre Fontane , divenendo luogo deputato ad una sentita attività monastica (cui tutt’oggi gli isolani restano legati, specie in inverno), per poi passare nelle mani di vari feudatari: Aldobrandeschi, Pannocchieschi, Gaetani e Orsini.

Giunse nell’XI sec. il dominio dei Pisani, i quali iniziarono a costruire il Castello con la Rocca e la tutta la cinta muraria ed alcuni anni dopo la torre del Porto ed il Lazzaretto, oggi dimora privata, ben visibile sul promontorio che porta ancora questo nome. 

Nel 1448 fu occupata da Alfonso d’Aragona che la ripopolò con famiglie napoletane e dopo la vendette a Pio ll, diventando un feudo dei Piccolomini, sotto la repubblica di Siena.
Con l’espandersi dell’Impero turco l’isola soffrì molti attacchi dai Saraceni; nel 1554 il Barbarossa la saccheggiò deportando 700 abitanti come schiavi, mentre nel settembre del 1799 la popolazione eroicamente respinse l’ultima incursione. E qui la storia si tinge di tinte che hanno del leggendario e che ancora vengono narrate come eventi epici dagli isolani di oggigiorno. Si narra infatti che pochi, sparuti, uomini e donne riuscirono a sconfiggere sonoramente quegli  “sciabbecchi” arrivati alla baia del Campese e carichi di migliaia di uomini. Così, tra colpi di cannone sparati da in cima alla Casamatta, vili atti da parte dei soldati di guardia alla Torre del Campese che all’arrivo dei saraceni non spararono neanche un colpo, otri di vino distrutte, per evitare che i turchi si ubriacassero prima dell’assalto, ed intercessioni dei santi tutti ed in particolare del Santo per eccellenza, San Mamiliano e del suo sacro braccio tirato fuori per l’occasione, i gigliesi riuscirono a mettere in fuga i turchi i quali, secondo successive testimonianze, contarono circa 500 tra morti e feriti durante l’assalto. Da quel giorno non si vide più un turco pirata a largo delle coste isolane e sempre da quel giorno, tutti gli anni, si festeggia il 15 settembre San Mamiliano dei turchi.

Divenuta parte del Regno d’Italia, nel 1873 divenne domicilio coatto per ergastolani fino al 1893.

Luoghi d'Interesse

Le coste. Ideali per essere circumnavigate con il loro sviluppo di soli 28 km, sono quasi interamente selvagge ed incontaminate, accessibili a piedi solo in pochi punti. Tra scogliere a picco, una fitta e verdissima macchia mediterranea, scogli di granito, specialmente in barca si possono ammirare calette isolate di infinita bellezza, con acque talmente limpide da lasciare intravedere fondali meravigliosi.

Giglio Porto. Situato in un anfiteatro naturale dà subito il benvenuto con i suoi bar affollati, i suoi negozi e le sue boutiques. Da qui ci si può avventurare in una magnifica camminata scoprendo lentamente tutta la costa dell’isola, con le bellissime spiagge delle Cannelle, ideale per i bambini, le Caldane (raggiungibile solo a piedi o dal mare)  Cala degli Alberi, l’Arenella e quella di Campese. 

La villa romana dei Domizi Enobarbi –La dominazione romana dell’isola del Giglio è testimoniata dai resti sommersi della villa romana appartenuta alla famiglia dei Domizi Enobarbi: una vasta area, delizia dei sub, in cui si possono riconoscere una vasca per la piscicoltura, portici e mura perimetrali, arcate e terrazze.

Campese, uno dei luoghi più frequentati dai turisti anche perché dotato di un’estesa, bella e attrezzatissima spiaggia, rivolto verso Ovest il paese è favorito da un’esposizione solare prolungata e caratterizzata da tramonti mozzafiato, con un mare di uno straordinario color turchese.

Le vigne di Ansonico – I rilievi dell’isola, soprattutto sul promontorio del Franco, sono ricoperti da una vegetazione rara e preziosa, tipicamente mediterranea, con lecci, sugheri, erica e corbezzolo, caprifoglio robbia e ciclamini. Lungo alcuni terrazzamenti, detti greppe, si coltiva ancora un delizioso vinello gigliese, che rientra nella Doc Ansonica Costa dell’Argentario.

La cittadella medievale di Giglio Castello, la cui sagoma domina l’isola e la caratterizza, ad oltre quattrocento metri d’altezza, racchiusa da forti mura turrite, è un intrico di vicoli e viuzze medievali su cui si affacciano negozi e ristoranti che offrono la gustosissima cucina dell’isola, nella più pura tradizione toscana. 

Insomma, archiviato il tagico episodio della Costa Concordia, quest’isola meravigliosa è tornata ai fasti che le competono, come testimonia del resto il fatto di essere stata il set per film importanti, tra i quali ultimamente La Grande Bellezza di Sorrentino. (https://www.youtube.com/watch?v=TpuTv-6EoIA min. 1,40- 2,20)

Piatti tipici e prodotti tradizionali

Panficato – Il Panficato è un dolce tipico dell’Isola del Giglio risalente al XVI secolo, periodo in cui la famiglia Medici si adoperò per ripopolare l’isola con il trasferimento di famiglie provenienti dalla provincia senese. Questo dolce infatti ricorda molto il Panforte di Siena e contiene: fichi essiccati, uva essiccata, mandorle, noci, pinoli, mele, pere, scorza d’arancia, cioccolato, marmellata e cannella. Tutti gli ingredienti vengono impastati e cotti in forno.

Tonnina – La tonnina consiste in filetti di tonno messi sotto sale ed essiccati. Generalmente si mangia con insalata di pomodori e cipolla, un piatto fresco e molto saporito.

Vino Ansonaco – All’Isola del Giglio si produce l’Ansonico un bianco secco di sapore deciso. prodotto direttamente nei vigneti dell’isola, nei caratteristici terrazzamenti, detti “greppe” esposti al sole e alla brezza marina. Il vino Ansonico si presenta con un colore giallo paglierino, profumo intenso, leggermente fruttato e dal sapore intenso. 

Miele – L’isola, grazie al suo essere un territorio vergine di pesticidi, ricco di fiori e piante della macchia mediterranea dal rosmarino all’elicriso e poi l’erica, la ginestra spinosa, i cisti,  il mirto, passando per tutte le piante da frutto spontanee e selvatiche come i fichi d’india, le more, i gelsi, le visciole o sarace, i fichi, le cosce di monaca e le piante dei giardini nei centri abitati, ha dato la possibilità alle api, di trovare un modo per cavarsela da soli e combattere anche un pericoloso parassita che stava minacciando la sopravvivenza di questi preziosi insetti, ormai a rischio estinzione nel resto del globo.

Oggi il miele mille fiori del Giglio, viene prodotto da tre piccole aziende agricole: quella di Alessio e Barbara il cui miele si chiama “The Queen” (https://mieleisoladelgiglio.it/), quella di Erica Centurioni con il suo miele “Lacrima di Ra” e dalla Cooperativa le Greppe.

Percorso api-vinicolo – Un percorso a piedi collega le due zone di produzione (miele e vino) di circa 400 metri che dalla località Olivello raggiunge la località Scopeto. 

Sull’isola si producono anche ottime marmellate con frutta locale, biologica e di primissima qualità.


Montecristo

Oggi, 25 aprile 1498 essendo stato invitato a pranzo da Sua Santità Alessandro VI e temendo che, non contento di avermi fatta pagare il cappello cardinalizio non voglia ereditare da me e mi riservi la sorte toccata ai cardinali Caprara e Bentivoglio, morti avvelenati, dichiaro a mio nipote Guido Spada, mio erede universale, che ho nascosto in un luogo che egli conosce, per averlo visitato con me, cioè nelle grotte della piccola isola di Montecristo, tutto ciò che possiedo in lingotti, monete d’oro, pietre preziose, diamanti, gioielli; che soltanto io conosco l’esistenza di tale tesoro, il quale può ammontare press’a poco a due milioni di scudi romani, che egli troverà levando il ventesimo masso a partire dalla piccola cala orientale in linea retta. Nelle grotte sono state praticate due aperture: il tesoro si trova nell’angolo più lontano della seconda. Tale tesoro io glielo lascio e cedo in tutto la proprietà, come a mio unico erede.

(da Il Conte di Montecristo, Alexander Dumas)

Pensando all’Isola di Montecristo la mente inevitabilmente si va a posare, foss’anche per un attimo, al famigerato Conte narrato da Dumas.

Sebbene quest’ultimo mai vi avesse messo piede, ne rimase affascinato durante una battuta di caccia all’isola di Pianosa da cui ne scorse in lontananza le granitiche fattezze, avvolte tra le nubi. Deciso a visitarla venne accontentato in parte, e la sua visita si limitò alla circumnavigazione dell’isola di cui poté strabiliarsi ed incantarsi per le scogliere, calette segrete e suggestivi anfratti. 

Il tesoro, infatti, di cui Montecristo è foriero, non è in monete d’oro piuttosto nella magnifica espressione della natura, rimasta quasi incontaminata nei secoli. Un tempo chiamata Oglasa, poi Montegiove, si ritiene che la denominazione attuale risalga al Medioevo dove il nome muta in Monte Christi, ossia «Monte di Cristo», verosimilmente a causa del forte contesto ecclesiale e monastico che caratterizzò l’isola a partire dal V secolo, ed in particolare del Monastero di San Mamiliano.

L’isola, amministrativamente facente capo a Portoferraio, copre un’area di circa 10,4 km quadrati: 1.039 ettari  di natura selvaggia e incontaminata, di biodiversità da tutelare e proteggere, una riserva biogenetica dichiarata nel 1971 con decreto ministeriale riserva naturale statale integrale  e, riconosciuta come sito di interesse comunitario,  le è anche stato attribuito dal Consiglio d’Europa il Diploma europeo delle aree protette nel 1988. Proprio per questo, l’isola di Montecristo è pressoché inaccessibile, o quantomeno, contingentata. E’ stato stabilito  un tetto di visitatori massimo, e dal 2019 sono solo 2000 le persone che vi possono accedere in un anno.

Il solo approdo consentito è nella parte nord ovest, presso la spiaggia Cala Maestra. Qui troviamo anche l’unica struttura residenziale di tutta l’isola, la  Villa reale Cala Maestra chiamata Watson-Taylor dal nome di colui che ne fu proprietario dal 1852 al 1869. Il barone scozzese George Watson Taylor, acquistò l’isola per 50.000 Lire, realizzò un piccolo molo a Cala Maestra, vi edificò il vasto caseggiato successivamente chiamato Villa Reale (poiché futura residenza di caccia del re Vittorio Emanuele III di Savoia), trasformando la zona in una area verde con giardini terrazzati e specie arboree esotiche, tra cui l’ailanto (specie vegetale che sino ad oggi ha mutato l’assetto vegetazionale dell’isola). Oggi la struttura è divenuta abitazione delle guardie forestali e sede di un museo naturalistico.  Per trovare altri segni antropici dobbiamo addentrarci nell’interno percorrendo impervi sentieri, per giungere alle rovine del monastero di San Mamiliano. Con la fondazione di questo monastero, edificato nel V secolo d. C. da monaci eremiti, comincia la storia documentata dell’Isola. Secondo la leggenda proprio qui sarebbe custodito un famigerato tesoro, frutto di donazioni ecclesiastiche. Allo stesso periodo risale una cappella absidata costruita all’interno della Grotta di San Mamiliano, dove il Santo vi trovò rifugio nel V secolo d. C e vi morì il 15 settembre del 460. Secondo la leggenda, al momento della sua morte un enorme colonna di fumo si innalzò dall’isola. E pare che gli elbani, volendone recuperare il corpo, si recarono sull’isola ma caddero in un sonno irreale, nel frattempo arrivarono dei gigliesi e riuscirono a portare via le spoglie del santo; intanto gli elbani, svegliatisi, raggiunsero i gigliesi in un’insenatura sull’isola del Giglio e lì nacque una violenta disputa per trattenere il corpo di Mamiliano. Le due braccia vennero smembrate dal corpo, finendo nelle mani sia dei gigliesi sia degli elbani. 

Luogo di interesse e fortemente ambito dai saraceni il monastero subì due devastanti incursioni nel 727 e nel 1323. Finché divenne sede abitativa privilegiata di pirati e corsari per i successivi 2 secoli. Al largo di Cala Maestra (profondità di 35 metri) si trova il relitto di un veliero militare del XVI secolo. L’incursione di Dragut nel 1553 (vedi isola d’Elba) decretò la fine del monastero. Da allora per circa due secoli l’isola fu meta ambita da privati provenienti da varie parti d’Europa, finché non venne acquistata da Watson Taylor, e di nuovo dal Governo italiano nel 1869. Vent’anni dopo il Demanio di Livorno concesse in affitto l’isola al marchese fiorentino Carlo Ginori Lisci, che trasformò Montecristo in una riserva di caccia personale. L’isola è stata, nel 1896, la meta del viaggio di nozze fra l’allora principe ereditario d’Italia Vittorio Emanuele e Elena del Montenegro, per poi concederne ogni diritto nel 1899 a Vittorio Emanuele III, tramite il pagamento di un affitto pari a 2 000 lire, divenendo così una riserva di caccia reale esclusiva per la famiglia Savoia. Al momento del passaggio di proprietà, Carlo Ginori Lisci disse al re: «Se io sono, come mi avete chiamato, il vero conte di Montecristo, voi ne siete il sovrano; il mio è un possesso provvisorio, il vostro un dominio sovrano. Cedo i miei diritti» (Carlo Paladini, L’Isola del Re).

Il ritrovamento di  frammenti di vasellame, schegge di selce risalenti al neolitico antico e altri reperti ci dimostrano come l’isola fosse frequentata già in epoca preistorica. Tracce di frequentazione dell’isola in età romana e tardoromana sono presenti nella Cala di Santa Maria e a Cala Maestra , ove si ritiene ci fosse una domus maritima di età romana, avvalorata dal ritrovamento di un frammento di pavimentazione in opus signinum rinvenuta in loco. Anche i fondali marini ospitano i resti di un passaggio risalente ad epoche preromane e romane. Nelle acque tra Punta del Diavolo e Cala del Diavolo, a circa 60 mt di profondità, giace il relitto di una nave oneraria risalente al III secolo a.C, ed un altro del II secolo d.C. si trova a 50 mt sotto il livello del mare, più o meno nella medesima zona. 

In effetti, la reale ricchezza di quest’isola risiede nella natura che regna incontrastata. Un plutone magmatico intrusivo, originatosi tra i sette e i cinque milioni di anni fa, le conferisce il peculiare aspetto granitico, ed appare una sorta di enorme diamante incastonato nel mare (negli antichi portolani, Montecristo viene paragonata ad «una montagna alta come un diamante apuntato»).  

La copertura vegetale è rappresentata da garighe costiere e da una bassa macchia mediterranea formata prevalentemente da eriche, rosmarini e cisti, con poche piante di leccio raggruppate presso la cima più alta, Monte Fortezza che misura 645 metri. Le specie censite sono circa 400, tra le quali ricordiamo per i profumi che diffondono, insieme ai rosmarini, l’odoroso elicriso e l’aromatico maro. Sulle rovine dell’antico monastero crescono anche i cespuglietti di Linaria capraria, endemismo dell’Arcipelago. In seguito ad inserimenti ottocenteschi è purtroppo presente l’ailanto, specie aliena ed invasiva che il Parco sta cercando di contenere.  

Per quanto riguarda la fauna, la presenza più vistosa è la capra di Montecristo.

L’esistenza della capra selvatica a Montecristo è testimoniata almeno dalla seconda metà del XVI secolo e dal secolo successivo, e oggi rappresentata da oltre 250 esemplari viventi in completa selvaticità, non è da considerare un elemento naturale della fauna isolana ed è causa di notevole impatto sulla vegetazione autoctona. L’antichità del popolamento è peraltro tale da conferire allo stock presente un notevole valore storico-culturale. La tutela delle locali capre rappresentò inoltre una forte motivazione all’epoca dell’istituzione della riserva naturale, rivestendo un ruolo emblematico a livello delle politiche di conservazione dell’isola.

Tra gli altri vertebrati si segnala il raro discoglosso e per i rettili, oltre al biacco, si ricordano la vipera e il piccolo tarantolino

Importante è la presenza di uccelli marini come la Berta minore, le cui colonie sono di interesse europeo e oggetto di specifici programmi di conservazione, nonché il marangone dal ciuffo.
Per la particolare tranquillità del luogo e la presenza di acqua, piccole e grandi specie migratrici trovano a Montecristo l’ambiente idoneo per riposarsi e nutrirsi, in modo da essere in grado, di riprende il loro volo verso nord o verso sud nelle stagioni di spostamento. 

Frequenti sono gli avvistamenti di balene ed altri cetacei, tanto che per le caratteristiche batimetriche, sembra che le acque di Montecristo siano frequentate dal raro zifio.


Isola d'Elba

Tra le meravigliose isole dell’Arcipelago Toscano spicca l’Elba, per grandezza e regalità. 
Diverse narrazioni e testimonianze di autori classici collegano quest’isola agli Argonauti.

Diodoro Siculo (90-20 a.C.) ci narra che gli Argonauti navigando per il Tirreno alla ricerca del vello d’oro, fecero sosta su un isola chiamata Aethalia.

Secondo la leggenda pare che fosse proprio l’Isola d’Elba.

La spiaggia dove Giasone e gli Argonauti trovarono riparo fu chiamata Argo ed è oggigiorno conosciuta come spiaggia delle Ghiaie. La spiaggia delle Ghiaie è una delle più belle spiagge dell’Isola d’Elba.
La leggenda narra che, una volta giunti a riva, gli Argonauti si asciugarono il sudore utilizzando i ciottoli chiari e porosi presenti sulla spiaggia, lasciandoli segnati da macchie di colore nero-blu. I sassi della spiaggia delle Ghiaie sono tutt’ora caratterizzati da questa colorazione che li rende unici e fa sognare coloro che decidono di trascorrere su questa spiaggia le proprie giornate.
Per godere al massimo della bellezza della spiaggia, è consigliabile visitarla durante le giornate di scirocco che rendono l’acqua ancor più cristallina. La spiaggia è lunga circa 400 metri.
Dal 1971, il tratto di mare antistante la spiaggia delle Ghiaie, è zona sottoposta a tutela biologica. Questo riconoscimento ha protetto l’area per circa un miglio dalla costa, comprendendo anche lo Scoglietto, e ha permesso alla flora e della fauna marina di crescere notevolmente. Oggi è uno dei posti più belli e apprezzati dai sub di tutto il mondo.

L’isola oltre alle meraviglie paesaggistiche e marine è fortemente legata alla sua storia, e fiera dei suoi ospiti memorabili. 

Un passato Imperiale

Il 4 maggio 1814 Napoleone sbarcò sull’Isola d’Elba e issò la sua bandiera nel punto più alto di Portoferraio. Uno stendardo progettato dallo stesso Imperatore e che è ancora oggi la bandiera dell’Elba: bianca con una banda rossa, a cui furono aggiunte tre api dorate*. Il suo arrivo fu accolto dagli elbani con grande entusiasmo e la sua permanenza portò fervore su tutta l’Isola. Napoleone decise, per il suo alloggio, di ristrutturare alcuni edifici amministrativi e di vario uso, situati tra il forte Stella e il forte Falcone, l’attuale complesso della Palazzina dei Mulini, nei pressi della quale fece allestire nella Casa Vantini, in via Ferrandini, l’alloggio della madre. Una lapide ne ricorda ancora l’importante ospite. Riadattò in seguito la Villa di San Martino, nei pressi di Portoferraio, come residenza privata.

 Il primo settembre 1814 Maria Walewska, l’amante polacca dell’Imperatore, giunse sulle coste elbane con il figlio avuto dall’Imperatore, il piccolo Alessandro e soggiornò alla Madonna del Monte, dove l’Imperatore amava passare le sue ore di riposo e ispirazione. 

Anche  Paolina Borghese, sorella di Napoleone lasciò un segno indelebile della sua permanenza, sia nell’animare la vita sociale elbana secondo i costumi francesi dell’epoca, portando balli in maschera e le feste parigine nella nuova piccola corte, come anche nella squisitezza dei dettagli con cui decorò gli ambienti della Palazzina dei Mulini, in base al suo gusto capriccioso, rendendola così una “reggia da fiaba”.

 

Gli elbani sono rimasti molto legati alla figura di Napoleone, tanto che ogni anno viene celebrato il 5 maggio con una messa di suffragio presso la Chiesa della Reverenda Misericordia di Portoferraio. Un’occasione che oltre a far rivivere momenti della storia e aprire le porte di monumenti e palazzi che per opera sua furono recuperati, porta anche alla luce alcune curiosità come i piatti da lui preferiti, i giri che era solito fare, quali scorci amava osservare.

La bandiera: Le api dorate sono un simbolo molto ricorrente nell’iconografia napoleonica. Napoleone parlando con l’ammiraglio Thomas Ussher dice di aver «scelto le tre api perché rappresentano il popolo elbano che ha avuto tre dominatori ed ora con me è finalmente unito sotto un’unica bandiera»; con i tre dominatori, pare si riferisse alla divisione dell’Elba in tre parti, avvenuta ai primi del XVII secolo. 

I Bastioni Medicei di Porto Ferraio

A bordo della nostra barca, avvicinandosi al porto di Portoferraio, si può ammirare stagliarsi il maestoso complesso delle fortificazioni medicee, che chiudono a cinta il porto ed il centro storico di Portoferraio. Siamo intorno al 1540, all’epoca la cittadina godeva  del protettorato del re di Spagna Carlo V. Poiché era soggetta a continui attacchi ed invasioni, per volontà ed iniziativa del  Granduca Toscano Cosimo I de Medici, ma sempre con il consenso del sovrano ispanico, venne affidata agli architetti Gian Battista Camerini e Bonucci (succeduto in un secondo momento nella direzione dei lavori,dall’architetto Bernardo Buontalenti) la progettazione delle fortezze medicee. I lavori cominciarono nel 1548. Terminata la costruzione delle difese campali delForte Falcone e del Forte Stella, oltre che della Torre della Linguella nel 1555, si proseguì con l’edificazione dei bastioni del Forte di Terra per un tratto lungo circa 500 metri. Fra il Forte Falcone e il Forte Stella venne innalzato il bastione dei Mulini, per rafforzare la naturale difesa che offriva la ripida scogliera a strapiombo sul mare e prende il nome dalla presenza nella zona di due antichi mulini a vento. Altri tre bastioni, furono eretti a seguire tra il Forte Stella e la Torre della Linguella (“dei Pagliai”, “del Maggiore” e “di San Cosimo”).
Sul lato che guardava la darsena, venne eretto un’enorme ed alta muraglia, che finiva di chiudere l’intera cittadina a fortezza dove l’unico punto di ingresso era quello della Porta a Mare.

I Bastioni medicei vennero eretti su quattro livelli (Bastione “del Veneziano”, “del Casino di Mezzo”, “delle Palle”, e “della Cornacchia”) e tale struttura garantiva una protezione sicura dagli attacchi che potevano venire dalla “Porta a Terra”. Un complesso architettonico imponente, maestoso e razionale e soprattutto sicuro al punto da scoraggiare, già nel 1553, un tentativo d’attacco da parte del temutissimo pirata turco Dragut che giunto all’Elba con molte navi su commissione dei Francesi, dopo aver studiato attentamente il fronte di difesa, lo giudicò invulnerabile.

Il percorso di visita, alle fortezze medicee, si snoda attraverso il Fronte di Attacco, un insieme di Bastioni che si sviluppa per una lunghezza di circa 500 metri e chiude verso Ovest l’antica Cosmopoli, la città di Cosimo. Oggi, panchine, un punto di ristoro, giochi per bambini permettono di trascorrere piacevoli momenti sospesi tra presente e passato, regalando al visitatore un’immersione suggestiva nell’illustre storia della città.

Percorsi Minerari

L’Isola d’Elba è famosa in tutto il mondo per il mare cristallino, per il prezioso patrimonio naturalistico e per la grande varietà di specie mineralogiche presenti, uniche per la loro particolarità.

Gli appassionati di geologia rimangono stupefatti per l’enorme quantità di resti, reperti o luoghi ricchi di storia, come fossili, vulcani estinti o addirittura isole interamente metamorfosate.

Lungo il Percorso Minerario da Rio dell’Elba a Santa Caterina, tra i suggestivi paesaggi delle Miniere di Ferro, si trovano il Parco Minerario ed il Laboratorio di Educazione Ambientale dell’Isola d’Elba. Estremamente suggestivo presso il cantiere Le Conche, la formazione di un laghetto la cui presenza di altissime concentrazioni di ferro hanno conferito un color rosso sangue.

Percorrendo la via del Granito, da Pomonte a Grottaccia, verso la cima del Monte Capanne, oltre ai paesaggi, ad inebriarti è l’aria che vi si respira grazie ai profumi della macchia mediterranea. Le vie del granito sono diventate importante sin dai tempi dei Romani, infatti molte rocce di Seccheto, San Pietro e Cavoli furono impiegate per la costruzione del Colosseo, del Pantheon e del Palatino, nonché per la Cattedrale di Aquisgrana in Germania, edificata nel 784 d. C. per iniziativa di Carlo Magno.

La Miniera di Rio Marina può strabiliare per i panorami incredibili, dai colori speciali, dovuti al luccichio degli ossidi di ferro.

Resta probabilmente, però, il più suggestivo tra gli itinerari trekking nella zona di Capoliveri la Via della Vecchia Ferrovia nei pressi del monte Calamita, in cui si ripercorre la vecchia strada ferrata che collegava il cantiere del Vallone al punto d’imbarco vicino alla spiaggia dell’Innamorata di fronte alle isole Gemini. Il cammino offre tanti spunti per ammirare zone ricche di ferro, azzurrite, malachite e crisocolla.

Prodotti del Territorio

Ceramiche

Come nelle più radicate tradizioni isolane, anche l’Isola d’Elba ha dato alla luce generazioni di ceramisti che, mescolando la terra, i colori e il calore dell’isola, riescono a creare meravigliosi oggetti d’arte: da piccoli souvenir, a orologi, vasi, lampade, oggetti d’arredamento per esterni e interni.

Profumi

Come si deduce dal nome, l’Acqua dell’Elba è, in tutti i sensi, il profumo dell’Isola. Il laboratorio artigianale si trova a Marciana Marina e tutta la linea è creata con materie prime naturali e tecniche di manifattura artigianale. E’ possibile trovare negozi in tutti i paesi dell’Elba dove potrete acquistare profumi e saponi che racchiudono l’essenza di un’isola.

Orologi

Marina di Campo è sede del famoso marchio Locman. dove si trovano i laboratori, e i negozi sono presenti nei principali paesi dell’isola. Negli anni la collezione Locman si è arricchita di gioielli e articoli di pelletteria caratterizzati dallo stesso design e stile che ha reso famoso questo marchio elbano in tutto il mondo.

Prodotti enogastronomici

Sono molti i prodotti enogastronomici tipici dell’Isola d’Elba, ognuno di essi, oltre ad essere unico nel suo sapore, ha una forte carica simbolica: racconta storie di popoli, conquiste e amori. Si va dai dolci come la Schiaccia Briaca, la Schiacciunta e la Sportella, al Pane di Patate e il Pane Ferettato di San Piero, le marmellate, il miele, fino ad arrivare al buonissimo Aleatico, il vino passito che fin dall’epoca etrusca è stato vinificato dalle uve dell’Isola d’Elba.